Recensione Eddy Palermo Samba Jazz Trio, con Alessandro Mazza e Daniele Basirico, Alexander Platz 4 novembre 2013.
C’è questo modo di fare jazz di Eddy Palermo, che lo distingue da “tutto il cucuzzaro” diciamo. Perché ha in sé una saudade di chi ha visto il Brasile e ha saputo dire, agli italiani ma anche ai brasiliani, questo: “Il Brasile non è solo Samba, o Bossa, o Forró, o Baiâo (e molto cetera). Il Brasile ha anche il Jazz”. Così, proveniente da una cultura prettamente jazzistica (spicca la sua chitarra con Chet Becker come anche tra i docenti del Saint Louis College of Music, istituzione chiave in ambito jazzistico italiano tanto da prima chiamarsi Saint Louis Jazz School), resta fermo alle sue radici ma espianta il prodotto.
Ed ecco l’innesto di un giardiniere innamorato del verde(oro): il Samba Jazz.
Una serata delle tante, l’Alexander Platz di Roma, con Alessandro Mazzi alla batteria e Daniele Basirico al basso (collaborazioni con Petro Iodice, Claudio Colasazza, Marcello Rosa, Rosália de Souza) non è che una pioggia che innaffia ancora questo campo, quell’acqua piovana più newyorchese che ipanense. Ma inizia con “Sambolero” di João Donato (Quero voltar / A ver meu céu / A ver meu sol / Minhas estrelas a brilhar / Ver minha lua / Brincar na areia / Areia quente / Que está sempre a queimar / Quero.); prosegue con classici ed altri ritmi della Bossa Nova, del Samba, del Partido Alto, tutto per presentare l’ultimo cd autoprodotto, “Meu Samba Jazz”. È così che si sveglia il Samba Jazz: con una rugiada viva, vegeta e intensa.
Noto per i suoi grandi assoli, spesso criticato per coprire persino le voci di chi accompagna (da assoli ad assilli), in realtà non c’è chi abbia avuto il piacere di averlo sul proprio palco che sia disposto ad affermare che “Eddy ha esagerato”, perché la sua chitarra – solitamente elettrica – piace, non c’è che dire. Riesce anche ad accompagnare senza problemi il pari in numero di note musicali Jim Porto, pianista e vocalist, fondamentalmente un front-man senza pausa, ed è spesso al fianco di Rosália de Souza, mentre l’Auditorium lo ha a giugno convocato sul palco a omaggiare Vinicius de Moraes insieme, tra gli altri, a Ornella Vanoni.
Intanto qui qualche passo di Samba si tende ad accennarlo, per sapere che il Samba Jazz è una realtà ed è per pochi intimi romani: la passione di Palermo arriva ai “pé”, cosa che, in effetti, il Jazz non fa. Argomentazione convincente questa. Argomentazione convincente anche “Maracangalha”, celebre canzone popolare di Dorival Caymmi; come il “Samba de uma nota só” di Tom Jobim, grande classico che più classico non si può, sempre stile Palermo. Ce n’è un’altra: la “canja” (l’improvvisazione, invitata tra gli astanti) di Tati Valle, cantante che da Pescara viene ad ascoltare il collega e, chiamata sul palco, ripropone brani brasiliani secondo lo stile “eddyano”.
Alternando sonorità afroamericane a ritmi brasiliani, il risultato che ne deriva è eleganza ed energia allo stato puro. Sono tutte quelle note velocissime e distinguibili come le note di Palermo, non l’isola, ma in effetti un’isola.
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