di ROMINA CIUFFA >
Esce per le Edizioni del Gattaccio, collana “Racconti di Sport”, la voluminosa storia narrata da Luciano Sartirana, “Nel settimo creò il Maracanã”, che descrive da zero il grande calcio del Brasile e la storia dell’Estádio Jornalista Mário Filho. “Luciano Sartinarana scrive di calcio–spiega Darwin Pastorin–ma in realtà racconta l’anima di una nazione. In queste pagine troverete moltissimo Brasile: nei campioni, nei dribbling, nei trionfi e nelle cadute, nelle meraviglie e nelle sofferenze, nei giorni bui della dittatura e nei giorni lucenti della rinascita, nella letteratura e nella musica. In queste pagine, così fitte, così intense, così documentate, l’autore dimostra tutto il suo infinito amore per un popolo e per un’idea di football che è, nel ricordare Pier Paolo Pasolini, poesia”.
Poesia, dunque, quella di Sartirana che riesce, in “sole” 514 pagine”, a descrivere tutta la storia dello sport che ha innalzato il Brasile. Lo sport e uno stadio, quello di Rio, da molti mesi chiuso in attesa dei nuovi Giochi che tra il 2014 e il 2016 ivi si terranno, con buona pace per i visitatori dell’area carioca di questi giorni. Nelson Rodrigues scrive: “Uno stadio vuoto deprime la città. Per la nostra allegria è necessario, bisogna che esso sia pieno e vibrante. Ci piace quando il Maracanã è stracolmo e c’è gente abbarbicata fino ai fari di illuminazione”. Incontestabile.
Non sarà mica come in Europa, dove la gene fa a botte?
Gli indigeni solevano giocare al pallone che, anche se di gomma piena, era così leggero e veloce che, una volta ricevuto il colpo, continuava a rimbalzare per un bel pezzo, senza fermarsi, spinto dal proprio peso: fa notare il gesuita catalano José Manuel Peramás, che nel 1760 andò in missione in Amazzonia, nel suo libro “De vita et moribus tredecim virorum Paraguaycorum”. “Non lanciano la” palla con le mani, come noi, ma con la parte superiore del piede nudo, passandola e ricevendola con grande agilità e precisione”.
Ecco Pelé, un indigeno senza saperlo. Tanti anni dopo le rilevazioni del gesuita, il 15 febbraio 1894 un ventenne di nome Charles Miller, figlio di un inglese e di una brasiliana, sbarca nel porto di Santos dopo due noiose settimane di navigazione da Southampton.Vi era stato mandato 11 anni prima per avere una buona istruzione. Porta con sé due palloni di cuoio, divise per due squadre, il regolamento del gioco che furoreggia in Britannia, ma che nel Brasile del caffè e della schiavitù, abolita solo cinque anni prima, non conosce proprio nessuno. Un Paese che, a causa di quel gioco, sta per essere riportato nell’anima.
Nel 1901 scrittore Graciliano Ramos afferma: “La popolarità del calcio in Brasile sarà passeggera…”; il 16 luglio 1950, 224 mila persone di cui 50 mila entrate di straforo restano mute e impietrite sui gradoni il nuovo stadio Maracanã per 40 minuti dopo la fine della partita Brasile-Uruguay, la finale mondiale persa incredibilmente per 2 a 1.
Il 29 giugno 1958, un ragazzino di 17 anni (Pelé), un ex poliomielitico con le gambe storte (Garrincha) e un panzone malato di cuore (Vicente Feola, l’allenatore), consegnano al Brasile la prima Coppa del Mondo grazie un calcio da leggenda. George Raynor, allenatore della Svezia battuta in finale per 5 a 2: “Giocavano tanto bene che dopo 10 minuti tifavo per loro!”. Just Fontaine, attaccante della Francia battuta in semifinale per 5 a 2: “Sono infernali, nessuno può fermarli. Se riesci a marcare Pelé ti scappa via Scarinci. Tieni d’occhio questi due e Vavá ti fa goal. Degli indemoniati”.
Complimenti a Luciano Sartirana per esser riuscito a descrivere il calcio brasiliano praticamente minuto per minuto, in un libro che ha del documentario. Nato a Milano nel 1957 e ivi residente, l’autore è direttore editoriale e primo motore delle Edizioni del Gattaccio. Ha visto in diretta tv cose che oggi è difficile anche solo immaginare: l’assassinio di John Kennedy, il primo sbarco sulla Luna, Italia Germania 4-3 di Messico 70.
Il libro è completato da albi d’oro, dati, testi su www.edizionidelgattaccio.it alla voce “Gatão do Brasil”.
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