a cura di ROMINA CIUFFA (intervista) e IRIS D’AURIZIO (recensione) >
Musica come meta-scultura. Musica come universo timbrico, Musica come battito e flusso. È un mondo di combinazioni e dialoghi, ove ciascuno fa la sua parte col proprio corpo: una vera orchestra sinfonica. Questa è la via che calcano i Barbatuques, questa la ricerca che il gruppo brasiliano di body percussion, che ha appena finito di compilare la colonna sonora del film animato “Rio 2 – Missione Amazzonia“, dirige da anni, esplorando le portentose risorse sonore del corpo: e se il corpo è di tutti, allora, forse, lo è anche la musica.
Tra i quindici componenti dei Barbatuques c’è Charles Raszl, paolistano, legato all’Italia da molteplici cordoni affettivi, che dal 16 al 18 maggio scorso è stato a Roma per presentarsi ai neofiti del settore e tenere un seminario di percussioni corporali sulla ritmica brasiliana. Più che un seminario, in realtà, si è trattato di due giorni di “meditazione” sui richiami del corpo, organizzati secondo un’Alta Tecnologia Primitiva – come l’ha definita Charles riportando le parole di un amico.
“Sono Charles Raszl, vengo da São Paulo e sono un musicista, lavoro con la danza e scrivo colonne sonore per cinema e teatro. La mia è una formazione accademica, se così si può dire, dal momento che ho studiato chitarra in Conservatorio. Lo studio della musica classica è sempre stato affiancato dalla pratica con la musica popolare. Per molti anni ho cantato in un gruppo vocale dell’università di SP e lì ho conosciuto Fernando Barba, fondatore dei Barbatuques, il quale mi ha insegnato nel tempo vari espedienti per produrre suoni col corpo e costruire cellule ritmiche a partire da questi timbri”.
Charles lavora con i Barbatuques da molti anni, e da altrettanti viaggia in Europa per divulgare la loro esperienza.
“Ho conosciuto l’Italia di persona la prima volta nel 1998 – l’estate in cui il Brasile ha perso la coppa del mondo con la Francia – quando venni per suonare musica in strada con altri due musicisti. Poi dall’Italia sono passato alla Francia, arrivando fino alla Spagna. Nel 2012 sono stato in Turchia, ad un Festival di Body Percussion (che quest’anno si farà a Terni, in autunno). In quell’occasione ho conosciuto un gruppo di percussioni corporali che si chiama Bamp, attivo a Terni. Da lì è aumentata la mia affinità con questo Paese e sono tornato spesso anche per lavorare con vari gruppi di musica corporale. A Terni, inoltre, ho fatto il mio primo lavoro come artista solista: anche solo per questo devo molto all’Italia. Non mi conoscevo individualmente”.
Tra i musicisti italiani di ispirazione che cita, sono Pino Daniele, Alex Britti, Vinicio Capossela, Paolo Conte e Mina.
Il fascino della tecnica dei Barbatuques sta nella loro continua ricerca e sperimentazione che, senza il bisogno di porre limiti, attraversa i confini del potenziale umano ove ciascuno trova la via di esprimersi. La chiave vincente del loro non-metodo è proprio la mancanza di una formalizzazione, la forza di comunicare attraverso un linguaggio del tutto personale ed estemporaneo, senza codici stereotipati. In totale controtendenza rispetto alla concezione del fare musica degli ultimi tre secoli, individualizzata, qui si ritorna ad una dimensione ove l’estro dell’individuo si erge e si manifesta, appagato, nel collettivo. Non solo: se l’espressione del talento avviene solo col corpo ed è racchiusa in un battito di mani e piedi o in uno schiocco di lingua, allora, forse, l’emozione sta anche nel riconoscere il proprio potenziale. Siamo tutti strumenti musicali, e diversi.
“La ricerca di Fernando Barba–prosegue Raszl–è partita dalle possibilità derivanti dalle altezze dei suoni corporali: eseguire una melodia senza cantarla con la voce o suonarla con uno strumento, semplicemente giocando coi timbri. Per questo la particolarità dei Barbatuques è quella di giocare con l’imitazione degli strumenti senza usare l’espediente del canto, che è quello più utilizzato per eseguire le melodie. L’obiettivo è quello di trasferire ciò che si fa col corpo su qualunque strumento, e viceversa. Le combinazioni di suoni gravi e acuti, inoltre, danno la possibilità di eseguire col corpo la varietà e la molteplicità delle cellule ritmiche che, nel caso del Brasile, a causa della forte matrice africana, sono molto sviluppate.
Quando Charles ha preso parte ai Barbatuques il gruppo era già formato da un pò di tempo: ha cominciato collaborando con loro occasionalmente e dopo pochi anni è entrato ufficialmente tra loro.
Curioso è che, in diciassette anni di attività, questi abbiano pubblicato “solo” tre cd: “Corpo do Som” (2002), “O seguinte é esse” (2005) e l’ultimo lavoro “Tum Pá” (2012), pensato e rivolto al pubblico infantile, oltre al DVD “Corpo do Som ao Vivo” (2007). Come sottolinea anche Charles, il gruppo non ha mai perso la sua anima originaria, quella che li spinge a ricercare e sperimentare divulgando attraverso l’interazione viva e la rappresentazione estemporanea, più che per mezzo di un prodotto chiuso. Con un’attenzione speciale al mondo dell’infanzia e ad una pedagogia musicale ricca che, più di ogni altra, sembra essere vincente, l’essenza della loro arte è tutta nel gioco e nel divertimento: “Ti diverti con te stesso prendendo contatto con la tua propria cultura: sei libero e non hai filtri”.
In totale controtendenza rispetto alla concezione del fare musica degli ultimi tre secoli, individualizzata, qui si ritorna ad una dimensione ove l’estro dell’individuo si erge e si manifesta, appagato, nel collettivo. La vera emozione, infatti, arriva solo attraverso l’insieme: in un attimo, lo stesso in cui si sente ciò che si è nell’espressione del corpo in risonanza, si diventa un tutt’uno col resto del gruppo echeggiante nel flusso in crescendo. Qui si realizza la completezza. Chi lo vive, ubriacato dall’ esperienza di un richiamo primitivo e naturale, lo fissa nella memoria.
Gli incontri dei Barbatuques e quello tenuto da Charles, riportano ad un contatto profondo di carattere ancestrale. Non forniscono tecniche ma stimoli per svilupparle, non danno metodi ma espedienti che fungono solo da stimolo per la ricerca individuale.
Ciascuno concretizza l’esperienza in modo personale e lo stesso ha fatto Charles: ha fuso nella sua tecnica musicale tutto il suo universo, dal contatto con la musica classica alle tradizioni della sua terra, com’è avvenuto per la capoeira: “Man mano che approfondivo la tecnica di body percussion, ho cominciato a creare una interazione tra questa e i movimenti della capoeira. Ho rivolto lo sguardo sui suoni che questi movimenti potevano generare e da lì ho avviato una ricerca personale che, partendo dai gesti delle danze popolari brasiliane e le integra con la tecnica dei Barbatuques”.
Ogni persona può essere chitarra, pianoforte, un tamburo o un tamborim, può essere qualunque cosa. Ciascuno emette suoni assolutamente originali, incomparabili, tanto per le differenze costituzionali e naturali del corpo, quanto per la propria capacità di produrre suoni. A ciascuna razza, inoltre, corrisponde un diverso modo di fare musica, proprio in quanto impostare linguisticamente la bocca in un modo equivale a trarne suoni differenti rispetto ad un’altra razza. Non lo sapevamo, prima che Raszl si presentasse a Roma, ma siamo tutti musicisti corporali. Non lo sapevamo: in questo caso, siamo “strumentalizzati” e diveniamo strumento di una più grande risorsa, un Padre eterno musicale che ci suona. Non solo: siamo tutti strumenti, volenti o nolenti, e contro ogni religione e dogma, per questa volta anche lo strumento ha un’anima e va in Paradiso.
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