di ROMINA CIUFFA (servizio fotografico di Giosetta Ciuffa) >
Thaís Gulin sarebbe “essa pequena” a cui Chico Buarque nel suo ultimo album dedica “Essa Pequena” (Meu tempo é curto, o tempo dela sobra. Meu cabelo é cinza, o dela é cor de abóbora. Temo que não dure muito a nossa novela, mas eu sou tão feliz com ela): tanto “pequena” allora non deve essere. Di Curitiba, laureata in “Música Brasileira” nella Uni-Rio, a Paranà tifa per il Coritiba, quando è a Rio è Fluminense, preferisce giocare a calcio che seguirlo, beve una bicchiere di whisky prima di salire su un palco, crede nelle immensità.
È del 2007 l’uscita del suo primo album omonimo, nel 2008 è indicata come rivelazione del Prêmio Rival BR de Música Brasileira, e il Dizionario Cravo Albin da MPB le accosta questa definizione: “Considerata una delle grandi revelazioni musicali dell’anno dai critici del Rolling Stones Brasil e del Folha de São Paulo con il suo cd di debutto, Thaís Gulin, lanciato nel 2007″.
È oggi a Roma per presentare il suo nuovo album, ôÔÔôôÔôÔ, un gioco onomatopeutico che nella lingua brasiliana finisce per significare “guarda-GUARDA-GUARDA- guarda-guarda-guarda”. L’ha scritta sul suo letto mentre con la chitarra in mano aspettava un taxi per andare a Sapucaí: è uscita così, da un accordo qualunque, quando “cominciai a canticchiare eu vou… cair nesta avenida… eu vou, e emozionatissima chiamai tre persone, compresa mia madre, e gliela cantai per telefono. Arrivai a Sapucaí con la certezza di aver scritto una cosa importante”. Un “anti-samba”, come lei lo definisce, un samba con una seconda parte a forte connotazione rock.
A Roma viene grazie all’invito di un cultore radiofonico, Max de Tomassi, che la sceglie per questo primo mini-tour di assaggio. Assaggio al punto tale da scegliere, come prima tappa italiana (la Gulin arriva da un tour in Portogallo), una crostaceria di fronte all’accesso dei Musei Vaticani, l’Hoi, dallo stile newyorchese, che le dedica la sala lounge e wine bar a ridosso della Sala dei Sigari, accessibile solo ai soci. Aldo Ceccarelli, già direttore artistico del Tierra Caliente e del Mamboo Kings, oggi proprietario di questo come della churrascaria pariolina Carioca Roma, sembra voler investire in un Brasile di classe, già dandone atto più volte con gli show del jazz-sambista Jim Porto, da sempre tra i principali esponenti del verdeoro in Italia, ed oggi spettatore – insieme al fratello e alla famiglia – di questa Thaís dai modi vivaci, dai testi indiscutibili, dalla voce veloce.
L’album contiente 13 tracce caratterizzate da un’essenziale, incontrastabile autorialità: 5 brani della stessa Gulin, quindi Tom Zé, Chico Buarque, Moreno Veloso, Adriana Calcanhotto e Ana Carolina. Il movimento di questa paranense sul palco la dice tutta, la comunicazione è l’essenza di un percorso che non si compie mai da soli, com’è più tipico nella musica leggera italiana, bensì nel confronto e nelle “parcerias”, ossia le collaborazioni. Poco conta di chi sia la fidanzata. Ciò che è sul palco dell’Hoi oggi è un’artista al suo debutto italiano, che si confronta con la lingua (e mi chiede, prima dello show, come si dice “Quem souber cantar ah ah ah, cante comigo”, chi sa cantare “ah ah ah” canti con me) e con un pubblico intimo, che l’attende fino a mezzanotte e la osserva empatico. Ad ogni brano lascia scorrere comunicazione con gli ascoltatori, mentre si accorda con i musicisti in una dinamica in costruzione, non prederminata, che la vede artefice del proprio show in divenire. Ciò che, diversamente da molti, troppi artisti grandi e piccoli (Marisa Monte per prima, rif. OCCHIO DI “BUIO” SU MARISA MONTE, critica della scrivente alla commercialità di un’iperproduzione nell’ambito di un tour), non è dato per scontato.
Quindi accenna passi di samba e canta, nel bel brano di Rodrigo Bittencourt CINEMA AMERICANO, “prefiro os nossos sambistas”. Per esso ha progetti ben definiti (ne parleremo nell’intervista uscente). E sanziona: preferisce il poeta pallido anti-uomo che ride e che piange, che legge Rimbaud, Verlaine, che è fragile e che ti adora, che capisce il trionfo della poesia sul calcio ma che gioca la sua partita ogni domenica sotto il sole.
Ricapitolando, prima di dare alle stampe la nostra intervista a Thaís: c’è in questa giovane promessa della MPB un’energia 1) propria, che la spinge al movimento e al dinamismo sul palco, che avvolge anche la sua voce, che le consente di non essere uguale ad altre; 2) del suo surrounding, le collaborazioni e l’apertura, ed un’intima irrefrenabilità che la rende empatica senza esuberare; 3) dei testi, vere e proprie chicche di emozione carnale e, nel contempo, riflessiva; 4) di Chico, ma questa solo per coloro che seguono lei perché vedono lui, i seguaci dell’ombra insomma, il vorrei-ma-non-posso di coloro che non riescono a scindere la “fofoca” (gossip, pettegolezzo) dalla verginità dell’orecchio (poveracci).
Ma sì, in effetti lei è proprio come Chico la descrive nel suo blues: a volte si pinta la bocca ed esce. Fai pure, dico, take your time. E anche questa volta, Thaís scende dal palco e scappa via, sparisce. Volatilizzata. Sì, di fatto peneremo ancora con questa “pequena”, ma il blues già è valso la pena. (Romina Ciuffa)
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